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Pignoletto di Modena Ancestrale Brut di Francesco Bellei Paride Rabitti il Lambruscologo

Ancestrale è una parola “altisonante”, ha un suono un po’ magico, che ci fa fermare a riflettere.

Letteralmente ancestrale significa antico, atavico, primordiale, primitivo, ma se troviamo questa parola scritta su una bottiglia di vino, significa: il modo in cui spumantizzavano i nostri nonni, ossia il metodo classico.

La presa di spuma tradizionale, con rifermentazione in bottiglia, a mio avviso dona al vino maggiore carattere e franchezza.

Un vino torbido che mantiene la sua anima e allo stesso tempo il corpo, dove il “fitto” cioè il sedimento che si deposita sul fondo dovuto alla fermentazione dei lieviti, non è considerato un difetto ma una peculiarità, che conferisce al vino uno spessore tattile, quello che io amo definire: “Il boccone del prete”.

Quando il vino comincia a intorbidirsi maggiormente aumentando la consistenza e il sapore, inizio a percepire che mi sto avvicinando alla fine della bottiglia.

Quando mi trovo in un ristorante dove la bottiglia non è lasciata al tavolo, perché il vino è servito da un cameriere col compito di controllare che il bicchiere non rimanga mai vuoto, e mi è servito il “boccone del prete”, avverto che è giunta l’ora di ordinarne un’altra bottiglia.

Ho scoperto il Pignoletto Ancestrale per caso, anzi per sbaglio. Mi trovavo al ristorante “La Lumira” di Castelfranco Emilia (Modena), patria dei tortellini, forse per un compromesso storico-campanilistico alla continua guerra tra modenesi e bolognesi sulla paternità di questa squisita minestra perché Castelfranco si trova a metà strada sulla via Emilia.

Supportato da antichi testi come La Secchia Rapita, poema eroicomico di Alessandro Tassoni, scritto nei primi del 1600, ambientato nel 1325 durante una battaglia tra modenesi e bolognesi, i quali prima fecero irruzione nel territorio modenese, ma poi furono respinti e inseguiti fino alla loro città dai modenesi che fecero proprio il famoso trofeo di guerra, in altre parole una Secchia di legno presa a un pozzo ove si erano fermati per dissetarsi.

La leggenda ancestrale narra dell’oste di Castelfranco che, spiando una cliente della locanda dal buco della serratura, né volle riprodurre l’ombelico creando così la forma del tortellino.

Una spiegazione più logica e meno leggendaria vuole che, i cuochi di corte della famiglia estense, per non gettare via gli avanzi dei banchetti, sempre a base di carne e selvaggina, la riutilizzassero per il ripieno di questa minestra.

Oggi la ricetta è stata depositata alla camera di commercio, anche se, ogni famiglia né possiede una con le proprie piccole o grandi differenze.

Per l’appunto, mi trovavo alla locanda di Castelfranco, non quella dell’oste guardone, almeno credo, e ordinai per antipasto: guanciale croccante all’Aceto Balsamico tradizionale di Modena Extra Vecchio, naturalmente tortellini tradizionali di Castelfranco col ripieno di lombo di maiale, mortadella, prosciutto crudo, Parmigiano Reggiano, noce moscata, tutto crudo, fatto poi cuocere all’interno della pasta nel grasso brodo di cappone, che gli dona un sapore inconfondibile, ed a seguire coniglio con polenta fritta, e  semifreddo all’amaretto di Modena per dolce.

Dopo aver letto alla carta dei vini, ordinai “stranamente” un Lambrusco e precisamente Lambrusco di Sorbara Francesco Bellei Ancestrale.

Arrivò il cameriere, aprì la bottiglia, annusò il tappo e versò un goccio nel bicchiere per farmi assaporare se il vino fosse di mio gradimento, qui venne il bello, il lambrusco era bianco, dopo aver guardato meglio l’etichetta, mi accorsi che non era nemmeno lambrusco.

Mi era stato servito per errore il Pignoletto Ancestrale di Francesco Bellei al posto del lambrusco di Sorbara Ancestrale di Francesco Bellei da me ordinato. Per qualche istante rimasi seccato del disguido, il cameriere riconoscendo l’errore si predispose subito a rimediare, ma la mia curiosità era tale, che accettai ben volentieri lo scambio di Ancestrale.

In effetti, era da qualche tempo che volevo assaggiare quel pignoletto e così colsi la palla al balzo, mai errore fu più propizio per il mio palato, senza naturalmente togliere nulla al lambrusco ma solo alla mia curiosità.

Ad essere sincero sono poche le bottiglie che mi lasciano impressionato, quest’anno si possono contare sulle dita di una mano, e il pignoletto ancestrale è stato il terzo vino a colpirmi così e resta ad oggi la penultima bottiglia.

Il Pignoletto è tra i vini bianchi più amati dagli Emiliani, l’alternativa per eccellenza al “Vino Nostrum” Lambrusco, anch’esso frizzante e secco.

Il Pignoletto Ancestrale ha un bel colore giallo paglierino chiaro, con un finissimo perlage, un intrigante effluvio di profumi di erbe di campo e di fieno con un accenno di mandorla. Al palato è molto franco, secco, pulito, lascia in bocca una piacevolissima sensazione di mineralità

Non è un pignoletto molto facile da capire, ma una volta che si è imparato a conoscerlo, è molto piacevole e gratificante, una straordinaria piacevolezza di beva.

L’accostamento gastronomico che si è inavvertitamente creato è stato molto gradevole, sarebbe anche ottimo con pesce e crostacei grazie all’eccellente mineralità, ma anche col gnocco fritto o uova e tartufo.

La Cantina Francesco Bellei, fu fondata nel 1920 e condotta sino alla terza generazione da Cristian Bellei, dal 14 aprile 2005 fu acquistata dalla Cantina Cavicchioli e tuttora i fratelli Cavicchioli producono vini di altissima qualità.

 

 

Pignoletto di Modena Ancestrale Brut di Francesco Bellei Paride Rabitti il Lambruscologoultima modifica: 2012-08-01T13:01:14+02:00da
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